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Biopolitiche del femminile: dai matrimoni precoci alle mutilazioni genitali

Biopolitiche del femminile: dai matrimoni precoci alle mutilazioni genitali

In un presente labile e multiforme, continuamente rimodulato e ri-assemblato da rappresentazioni mediatiche auto-organizzate, il tema dei diritti dell’infanzia definisce il confine opaco di una materia caotica e ambigua. Si esibiscono i corpi dei minori uccisi durante le recenti recrudescenze dei conflitti medio-orientali, ma si rimuovono dall’immaginario i corpi-bambini sofferenti a causa di tradizioni culturali o necessità economiche. Secondo i dati Unicef, presentati in occasione del Girl Summit svoltosi a Londra il 22 Luglio 2014, c’è un’endemia silenziosa che colpisce bambine e adolescenti nel mondo: sono oltre 60 milioni i casi di child early forced married.I matrimoni precoci forzati sono una pratica (formalizzata o meno) che coinvolge una bambina su tre nei Paesi in via di sviluppo prima dei 18 anni, ma anche in età più precoci (prima dei 15 anni, per una bambina su nove; e purtroppo in moltissimi casi, addirittura prima degli 8 anni). In particolare, secondo le stime dell’ UNICEF Global Databases (2010), 9 dei 10 Stati con il più elevato tasso di incidenza di matrimoni precoci si trovano nel continente africano: Niger (75%), Ciad e Repubblica Centrafricana (68%), Guinea (63%), Mozambico (56%), Mali (55%), Burkina Faso e Sud Sudan (52%) e Malawi (50%). Importante la diffusione del fenomeno anche in area asiatica (Bangladesh, India, Pakistan, Nepal) e latinoamericana (Repubblica Dominicana e Nicaragua); mentre mancano analisi dettagliate per il ben più controverso e problematico scenario culturale della Cina.

Le conseguenze dei matrimoni precoci forzati travalicano il danno psichico e sociale: le spose bambine sono spesso segnate da depressione e suicidio, oltre che dall’abbandono scolastico e quindi dall’analfabetismo. I child early forced married sono causa di lesioni fisiche gravi fin dalla prima notte di nozze: bambine da poco sottoposte ad infibulazione sono costrette a rapporti sessuali prematuri che provocano fistole vescico-vaginali. Inoltre, il vincolo di accesso alla contraccezione imposto a molte delle spose bambine (a cui è vietata la richiesta dell’uso di condom da parte del marito) determina un’alta probabilità di contrarre l’AIDS e una significativa frequenza di gravidanze precoci, segnate da importanti patologie materno – infantili: dai traumi da parto alla mortalità perinatale dei nascituri.

Le tutele giuridiche contenute nella Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC) e nella Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), le campagne sulla promozione dei diritti di organizzazioni internazionali, come il collettivo Girls not Bride, Plan International e The Elders non riusciranno a fermare questa terribile piaga planetaria della salute femminile minorile. Non basteranno i programmi volti all’empowerment di genere e la lotta alla povertà: i corpi delle bambine come unica forma di capitale per milioni di famiglie dei Paesi sottosviluppati.

L’Italia insieme agli membri del G7 durante la riunione tenutasi a Bruxelles il 4-5 giugno 2014 ha espresso la propria volontà di impegnarsi contro tutte le forme di discriminazione e violenza di genere, in particolare contro i child early forced married. Eppure i matrimoni forzati precoci, così come le mutilazioni genitali femminili si verificano a distanza molto ravvicinate rispetto ai ben più lontani territori extracontinentali. Il fenomeno delle spose bambine è stimato intorno ad una percentuale del 17% in Georgia e del 14% in Turchia. Mentre, ad oggi sono discontinue le indagini per quanto concerne le comunità di stranieri extracomunitari che, in Unione Europea, ancora negano i diritti delle bambine e delle adolescenti. Se in Inghilterra, dopo i casi di spose bambine pakistane e yemenite denunciate dalla BBC, è stata recentemente predisposta l’Unità governativa britannica Matrimoni forzati; altri Paesi europei manifestano ancora una colposa disattenzione. Prima fra tutti l’Italia, dove allo stato attuale mancano analisi approfondite, nonostante i non sporadici fatti di cronaca in cui si racconta di mutilazioni genitali effettuate su bambine straniere e i matrimoni precoci – di cui in pochi si occupano – presso le comunità Rom e Sinti.

Nell’Occidente dell’informazione globalizzata occorre una presa di coscienza prima di tutto presso le società cosiddette avanzate, senza la quale qualsiasi intervento – sia pure ben programmato – di empowerment di genere nei Paesi sottosviluppati non avrà mai i risultati sperati. Se l’opinione pubblica occidentale continuerà a consumare notizie sulle sorti drammatiche di questi Paesi, limitandosi ad azioni neutrali di petizioni e donazioni online, senza una reale comprensione delle vicende tragiche di questi minori e delle loro famiglie, l’accesso alle notizie rafforzerà quella anestesia sotto-soglia che, sempre più, pervade la collettività contemporanea occidentale, già intaccata dalla crisi finanziaria. Con il rischio non solo di rimanere collusivamente indifferenti verso i drammi che colpiscono milioni di bambini nel mondo, ma di smarrire definitivamente ciò che ci rende umani, ossia la capacità – se ancora ne è rimasta traccia – di empatizzare, di immedesimarsi e di reagire a quanto accade ai propri simili nel resto del pianeta.

fonte: articolo originale

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